ricorre quest'anno il centesimo anniversario di una tragedia che ha segnato un territorio
Una meta interessante, nel cuore delle Orobie, è senz'altro la diga del Gleno. Al di là del passaggio per la frazione Pianezza - dove troneggia uno dei pochi campanili che continua a segnare l'ora con un orologio a sei ore (sono sei in tutta la provincia di Bergamo, un centinaio in Italia) - e del bell'affaccio sulla parete nord della Presolana, la camminata alla diga è un'immersione nella storia.
Qui, infatti, quasi cento anni fa (il 1 dicembre 2023 ricorre il centesimo anniversario) si consumò una delle grandi tragedie dell'idroelettrico italiano, il crollo della diga del Gleno. Morirono più di trecento persone e furono coinvolti tutti i paesi scalvini e parte del fondovalle della val Camonica.
Nonostante le centinaia di morti, questo disastro è poco noto ed oggi è meno ricordato del più tragico Vajont.
Se tra Longarone, Erto e Casso il problema fu l'erosione dei pendii attorno alla diga del Vajont (che tuttavia resse al terribile impatto), in val di Scalve la disgrazia nacque proprio da difetti strutturali del manufatto che cedette, liberando un enorme quantitativo di acqua. Questa enorme massa travolse intere vallate dalla Bergamasca al lago d'Iseo.
Oggi - dove c'era il grande invaso - rimane solo un piccolo bacino mentre ai margini del modesto sbarramento attualmente funzionante troneggiano i resti della diga crollata nel 1923.
La diga fu costruita tra il 1916 ed il 1923 e crollò, quindi, pochi mesi dopo la sua inaugurazione, il 1 dicembre 1923. Le tante indagini successive hanno evidenziato falle e carenze sia in fase di progetto sia in fase di realizzazione, con "cambi in corsa" tecnicamente discutibili dal lato delle soluzioni ingegneristiche e nella scelta dei materiali.
Il 1923 fu caratterizzato da un autunno particolarmente piovoso e le perdite di acqua erano evidenti già prima del giorno del disastro. Nonostante le avvisaglie, le denunce e le paure, nulla fu fatto e quel 1 dicembre 1923 oltre sei milioni di metri cubi di acqua precipitarono a valle raggiungendo non solo i vicini abitati, come Pueggio e Dezzo, o gli impianti idroelettrici di Valbona e Povo ma anche località ben più distanti come Angolo (miracolosamente illesa), Boario e Darfo, nel fondovalle camuno. La particolare conformazione del territorio, infatti, facilitò la discesa tumultuosa delle acque che trovarono sulla loro strada gole e vallate profonde quanto anguste. Un contesto ideale per scivolare a valle rovinosamente.
In tre quarti d'ora la massa d'acqua arrivò nel lago d'Iseo. I numeri, mai confermati definitivamente, raccontano di 356 morti.
La camminata che porta ad ammirare i resti di questa diga, il laghetto e la bella vallata orobica è abbastanza impegnativa anche se tutto sommato breve.
Si parte da Vilminore (1018 mslm), caratteristico paese scalvino, dove si può salire in direzione di Pianezza (1265 mslm) scegliendo diverse soluzioni: un sentiero diretto, la via delle Cappellette (segnavia 4) oppure, più comodamente, uno dei bus navetta che partono dai vari parcheggi dislocati in paese (questa strada, volendo, si può fare in bici lasciando poi la stessa a Pianezza). Chi sale a piedi trova appena a monte della parrocchiale di Vilminore le indicazioni per Pianezza, una caratteristica quanto raccolta frazione che si raggiunge in circa mezz'ora. La mulattiera, in questo tratto, propone pendenze discrete ed offre solo raramente momenti per rifiatare: sontuoso il panorama sulla Presolana e sul monte Ferrante.
Arrivati a Pianezza, tutti proseguono a piedi, seguendo il 411. Si prende, seguendo le indicazioni, una carrareccia cementata che tra i prati disegna un tornante per poi arrivare in un fitto bosco di conifere. Da qui inizia il tratto più impegnativo: il sentiero è sempre ampio, ma le pendenze sono severe ed il dislivello si guadagna passo dopo passo. Con fatica, prestando attenzione, dato anche il fondo pietroso, si prende quota fino a raggiungere una sorta di muretto nel bosco dove, improvvisamente, finiscono le fatiche.
Da qui, infatti, dove la segnaletica indica che mancano ancora trenta minuti prima di raggiungere la diga del Gleno: si prosegue sostanzialmente in piano, affascinati in particolare da lunghi passaggi letteralmente scavati nella roccia.
Inizia a scorgersi la diga che ormai dista davvero poco. Si apprezza, già a distanza, la sua imponenza che diviene massima quando ci si porta ai piedi del manufatto (1524 mslm). Struggente immaginare il dramma che seguì al crollo della parte centrale e fa impressione immaginare quanta potesse essere l'acqua contenuta nell'invaso e quanto violentemente abbia potuto abbattersi sulle vallate sottostanti.
Oggi, la valle del Gleno e le rive del lago artificiale invitano ad una sosta rilassante e piacevole, senza però dimenticare il tragico passato. Nelle acque del lago si specchiano la Presolana ed il monte Ferrante: è consigliabile salire in bassa stagione o nei giorni feriali. In caso di affollamento ci si può allontanare dalle rive del lago e godere di un po' di quiete nei prati attorno alla Baita Bassa del Gleno (1594 mslm), poco distante dal lago e dal torrente, lungo il sentiero che porterebbe fino al passo Belviso.
In stagione è aperto un chiosco dove è possibile ristorarsi.
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