un mare di crocus al cospetto di Presolana e Ferrante, con un meteo birichino
Non una ma due volte siamo tornati alla Diga del Gleno, pochi mesi dopo il centenario della tragica notte del 1 dicembre 1923. L'obiettivo era quello di godere di una giornata in montagna, ovviamente, ma anche di immortalare una bella fioritura di crocus.
Obiettivo centrato solo parzialmente: il 20 e 25 aprile, infatti, abbiamo apprezzato la primavera scalvina, tra la camminata fino alla Diga e due pedalate nel fondovalle, ma i crocus si sono fatti desiderare. O meglio: il 20 il sole è scomparso prima del previsto (praticamente alle 11) lasciandoci con l'amaro in bocca e la voglia di tornare. Il 25 diversi ingredienti ma medesimo risultato: il sole è durato un po' di più, ma comunque molto meno del previsto, ed i crocus erano rapidamente caduti sotto i colpi dei temporali e delle nevicate (lievi ma comunque letali) dei giorni precedenti!
Abbiamo comunque avuto modo di testare un paio di percorsi circolari su strada che racconteremo a breve su www.cicloweb.net
Parliamo di due particolarità tra Vilminore di Scalve, la sua frazione Pianezza e la Diga del Gleno.
A Pianezza si trova uno dei sette orologi a sei ore ancora esistenti in provincia di Bergamo, unica provincia lombarda a conservarne (sette in totale).
Due di questi sette sono nel comune di Vilminore di Scalve (l'altro è in frazione Sant'Andrea). "Il sistema orario a 6 ore, anche detto alla romana (o all'italiana) è una convenzione per tenere il tempo, secondo la quale il giorno va dall'Ave Maria della sera (circa mezz'ora dopo il tramonto, quando termina il crepuscolo) a quello successivo e si articola in 6 ore ripetute per 4 volte. Venne creato dalla Chiesa nel XIII secolo e rimase in uso in Italia sino all'arrivo di Napoleone che introdusse il sistema orario a 12 ore", (da Wikipedia).
La diga del Gleno è invece uno dei simboli del territorio scalvino e rimane oggi come monito (spesso inascoltato, basti pensare alla tragedia del Vajont) alla follia ed all'ingordigia dell'uomo.
Nel gennaio del 1917 la ditta Viganò venne autorizzata a deviare l'acqua del torrente Povo ed a sfruttare con una diga artificiale il bacino del Gleno.
Inizia una serie di lavori che culmina nell'ottobre 1923: la diga è "quasi" finita e in seguito alle abbondanti piogge riempie l'invaso.
Gli abitanti sono spaventati dalle evidenti perdite della struttura che - si scoprirà - venne realizzata con pessimi materiali e progettazione superficiale.
Alle 7:15 del 1 dicembre del 1923 la diga crolla e l'enorme volume d'acqua che tratteneva precipita a valle, portando con sè milioni di metri cubi di detriti. Interi paesi vengono travolti, altri miracolosamente solo sfiorati: la massa d'acqua scese lungo la val di Scalve, si incuneò nella forra della via Mala e sfociò poi in val Camonica.
I morti ufficiali furono 356 ma si tratta di un dato probabilmente sottostimato.